Oggi voglio riportare, testualmente, l'articolo della rubrica "L'amaca" di Michele Serra pubblicato sulla Repubblica di ieri 30 luglio. E lo riporto perché vi accorgerete che esprime, se avrete il piacere di leggerlo, un giudizio che è un caposaldo di questo blog: l'importanza di conoscere e riconoscere gli alberi che ci accompagnano nel nostro viaggio sulla Terra, a cominciare da quelli che incontriamo tutti i giorni, o addirittura vediamo dalle nostre finestre.
E se nel perseguire questo obiettivo, che mi sono dato come presupposto per la nascita del blog nel 2010, sono confortato dalle autorevoli parole di un giornalista di buon senso come Michele Serra, mi sento ulteriormente stimolato a proseguire questo mio piacevole impegno.
I militi ignoti
di Michele Serra
Da una sommaria ricognizione a
piedi dalle parti di Foro Bonaparte, e in macchina lungo i viali di Città
Studi, mi è sembrato che i più vulnerabili siano stati i frassini; i più
resilienti i bagolari; i più ostinati i platani, venuti giù interi, per
sradicamento, senza spezzarsi. Peggio di tutti le robinie, quasi spappolate dal
vento. La grande quercia di piazza XXIV Maggio mi è parsa gravemente ferita, ma
non ho avuto il tempo di avvicinarmi.
Così come gli animali, gli alberi sono di specie diverse.
Anche se genericamente a forma di albero, sono tutt’altro che uguali la
consistenza del legno, l’estensione della chioma, la sagoma delle foglie, il
colore della corteccia, la longevità.
Se vi dicessero che a Milano
sono morti per un cataclisma centinaia di animali, la vostra prima domanda
sarebbe: quali? Cani? Piccioni? Gatti? Cavalli?
Gli alberi invece non hanno
nome — se non per gli addetti ai lavori o i dilettanti tardivi, come me — e
dunque i caduti di Milano, le cui salme vengono progressivamente accatastate
accanto al cimitero di Lambrate, sono militi ignoti.
Ci passiamo accanto ogni
giorno, cerchiamo la loro ombra per parcheggiare la macchina, ma non sappiamo
come si chiamano.
Nel gran parlare che si fa di
natura, ambiente, clima, sarebbe bello riconoscere, come primo punto, che non
ne sappiamo niente, o quasi. E ripartire dall’Abc, piano piano, come faceva il
maestro Manzi a Non è mai troppo tardi per rimediare
all’analfabetismo dei nostri nonni.
Dovremmo imparare, prima di
discettare sui massimi eco-sistemi, chi diavolo sono gli sconosciuti che vivono
sotto casa e ci salutano alle finestre. Almeno sapere con che nome chiamarli,
prima di procedere speditamente per la nostra solita strada.